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Il caso Marta Russo raccontato dal collettivo Lorem Ipsum

7 min di lettura

24 anni dall’omicidio Marta Russo: il podcast “Undici Frammenti” del collettivo Lorem Ipsum è un’opera necessaria, per ricordare Marta, riflettere sulla giustizia e comprendere un pezzo di storia del nostro Paese

Spesso ce n’è almeno uno nel portafoglio. Foto tessere, ritagli, pagellini: ricordi di qualcuno che amiamo e che non c’è più. Chissà quanti, a mente o a voce alta, si rivolgono a queste immagini per una chiacchierata silenziosa, un consiglio, per dire “mi manchi, vorrei fossi qui, ho ancora cose da dirti”. E chissà quanti hanno visto almeno una volta – non nella propria mano, ma nei notiziari – il viso di una giovane donna dagli occhi verdi e i capelli dorati. Alcuni volti, infatti, restano scolpiti nell’immaginario collettivo, come quello di Marta Russo, uccisa da un colpo di pistola alla testa il 9 maggio 1997, mentre camminava con un’amica in un viale dell’università romana La Sapienza. Oggi i due dottorandi dell’Istituto di Filosofia del Diritto Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro – condannati rispettivamente per omicidio colposo aggravato e favoreggiamento – dopo la condanna definitiva del 2003, hanno scontato la pena prevista. Tutti gli altri indagati furono assolti con formula piena.

In tanti si sono espressi su questa vicenda – di cui esiste una verità giudiziaria contornata da molte ombre – e non ne approfondiremo, qui, cronaca e dettagli processuali. È legittimo chiedersi, però, se ha ancora senso porsi delle domande in merito ad un caso che spaccò l’opinione pubblica. “Undici Frammenti – Il delitto perfetto della Sapienza”, realizzato dal collettivo giornalistico Lorem Ipsum per Audible Original, è la risposta affermativa a questa domanda: il podcast pone indirettamente domande dolorose e brucianti che ci riguardano tutti, su giustizia, diritti e comunicazione. Tre giovani giornalisti freelance, Pietro Adami, Giulia Bianconi e Nicola Campagnani, con un lavoro mastodontico di ricerca, intervista dopo intervista, riescono in 10 episodi non solo a ricostruire quello che è successo a partire da quel 9 maggio, ma soprattutto ad approfondirlo e contestualizzarlo, offrendo più di uno spunto di riflessione. Oltre dieci ore di ascolto accompagnate dalla colonna sonora originale firmata dall’artista Zungzwang.

Ne abbiamo parlato con uno degli autori, Nicola Campagnani, che è anche la voce narrante del podcast. “Non ha senso parlare con troppa foga dell’oggi. Lo abbiamo fatto a 24 anni di distanza perché qualcuno all’epoca ebbe la fretta di scrivere su un giornale che Scattone e Ferraro facevano seminari sul delitto perfetto, anche se nessun elemento lo ha mai confermato. Credo che certe narrazioni velociste abbiano avuto una grossa responsabilità in questa vicenda: quello che viviamo oggi è in parte nato 24 anni fa, in quel momento, con una televisione ancora giovane e un giornalismo di cronaca spietato, frettoloso e sbadato.”

Gli aspetti che Undici frammenti affronta, infatti, sono precedenti al caso e ancora attualissimi e dibattuti: carcere, colpa e media. “Questo è il primo caso mediatico di stampo televisivo nella storia dell’informazione italiana. Ce n’erano stati altri, ma non in tv e non come questo processo. Mentre per quanto riguarda colpa e carcere, per Ferraro e Scattone i mass media sono stati più giustizialisti della giustizia stessa. Sulla base di questi contenuti abbiamo pensato a questo caso come una perfetta sintesi per affrontare questi temi.”

Sono tante le emozioni che il podcast suscita, tra cui lo smarrimento nel sentire le proprie certezze sbriciolarsi puntata dopo puntata. “È importante provare quelle sensazioni sulla propria pelle perché sono le stesse provate dal popolo italiano leggendo i giornali – spiega Campagnani – altrimenti non si può capire fino in fondo quello che è successo. Era necessaria una narrazione che non si limitasse solo al piano razionale e giuridico ma che aggredisse quello stesso apparato emotivo di cui si abbevera il giustizialismo, il populismo penale. Una persona che ascolta distrattamente il telegiornale in quegli anni, assume che due dottorandi hanno fatto il delitto perfetto. Dopo un po’ decide di approfondire. A questo punto riformula la posizione, ma lo fa su un piano razionale. Mentre sul piano emotivo aveva quasi sicuramente pensato a due che avevano realizzato il delitto perfetto. Col passare degli anni quale delle due cose dimentica? La parte razionale o l’emozione? Molti già avevano capito che questo era un delitto ingarbugliato che col delitto perfetto non c’entrava nulla, ma se ne sono dimenticati. E questo emerge bene dal podcast, che vuole portare l’ascoltatore a far sentire quello che il narratore ha vissuto.”

È impossibile non domandarsi come sarebbe andata e quale sarebbe stato l’impatto mediatico se l’omicidio fosse avvenuto oggi. “E’ un paradosso, perché l’oggi, mediatico e giuridico, c’è anche a causa del caso Marta Russo. Quegli anni erano complicati per molte ragioni e c’era l’ansia di trovare il colpevole (e di papabili ce n’erano molti). I magistrati dell’epoca, come Ormanni – lo stesso che disse a Gabriella Alletto «la prenderemo per omicida » – hanno fondato la loro carriera sul processo inquisitorio. Non era scontato, inoltre, che si mettesse anche un altro procuratore, oltre Lasperanza, a seguire il caso. A questo si aggiunse la pressione che c’era sulla Procura di Roma per i delitti dell’Olgiata e di Via Poma. E oltre al pantano di questi due casi, bisogna ricordare che il 9 maggio è anche una ricorrenza importante: le morti di Aldo Moro e Peppino Impastato.”

“A questo aggiungiamo la televisione: oggi – non per virtù ma per vizio – c’è una sorta di pluralismo causato dalla concorrenza, mentre prima ho l’impressione che l’informazione fosse più granitica. Erano tutti sulla linea accusatoria, e solo dopo sembrarono innocentisti, dimenticando poi di esserlo perché due ragazzi che sparano giù da una finestra ricordano qualche film e restano maggiormente impressi nella memoria. Oggi è evoluta tutta la linea psicologica dei teste e sono smarcate anche in tv figure come il criminologo o lo psicologo forense. Al processo l’idea della gestione psicologica nell’interrogatorio o le implicazioni nel fare una domanda in un certo modo erano tenute meno in considerazione.”

Tutte le voci intervenute sono state ascoltate direttamente, tra cui Domenica Virzì, la donna che ha ricevuto il cuore di Marta, Salvatore Ferraro, intervistato in una piccola libreria a pochi passi da La Sapienza, i magistrati Carlo Lasperanza e Italo Ormanni, il professore di diritto penale Marco Gambardella, e naturalmente i genitori di Marta, Aureliana e Donato, a margine di un evento sulla donazione degli organi.

Tra le persone intervistate dal collettivo c’è anche la psicologa Virginia Ciaravolo, che insegna a non fare quello che ha fatto Ormanni, “ossia – spiega Campagnani – evitare di mettere una risposta che si vuole sentire nella domanda. Le cose sarebbero andate plausibilmente in maniera diversa. Il populismo penale esiste per certi versi più che mai, c’è la malattia della cronaca nera per cui tutti vogliono fare indagini e probabilmente da quel punto di vista sarebbero emerse più tracce. Essendo il dispositivo mediatico più violento e potente, oggi il colpevole si decide molto presto. Sarebbe stato tutto più veloce, con il rischio che si sarebbe giunti alla mostrificazione di Ferraro e Scattone molto prima.”

Questa storia drammatica e dolorosa ha però reso i genitori e la sorella di Marta dei pionieri sul tema della donazione di organi in Italia, regolamentata con una legge solo nel ’99. “Il piano emotivo dei genitori è inenarrabile – aggiunge Campagnani – loro hanno bisogno di una verità e gliel’ha data lo Stato, punto. Non c’è spazio nell’abisso di quelle emozioni incomprensibili per esercizi narrativi, sarebbe sbagliato. Sono delle persone meravigliose che sconvolgono: da un lato per gli occhi segnati che portano dentro quello che hanno vissuto. Eppure in una sorta di conflitto si sforzano di sorridere perché hanno costruito una ragione per farlo, l’Associazione Marta Russo*, che ha aperto un mondo qui in Italia, dove la donazione degli organi praticamente non esisteva, grazie a un’idea che aveva avuto Marta leggendo pochi anni prima del caso Nicholas Green.”

L’intervista più difficile da realizzare per Campagnani forse, però, è quella a Francesco Liparota, l’usciere dell’Istituto di Filosofia del Diritto. “Pare fosse in una situazione di fragilità psichica. Dopo che Gabriella Alletto si lascia andare in un interrogatorio, raccontando una scena che aveva sempre rinnegato, viene condotto in carcere. Lì tradisce l’amicizia di Scattone e Ferraro e fa i loro nomi così come gli inquirenti vogliono. La cosa dura neanche un giorno, perché la mattina dopo ritratta. Ci ha raccontato che in carcere, sorvegliato a vista, ha pensato a soluzione estreme. È un uomo che ancora guarda in basso con vergogna e che non si perdona per aver coinvolto Scattone e Ferraro, con cui non ha più parlato. Mi ha colpito anche perché l’abbiamo intervistato nello studio legale del fratello, un bell’uomo in carriera dalla parlata sicura: mai conosciute due persone tanto diverse. Ho visto un uomo divorato, che ha pagato tutte le conseguenze, sulla carriera e sulla psiche.”

In questo tourbillon così complesso di testimonianze (smentite o ritrattate), errori di valutazione e figure che hanno sempre dichiarato la propria innocenza o estraneità, il tema del delitto perfetto resta sempre sottotraccia ma privo di qualsiasi evidenza. “Nel ’98 uscì Delitto Perfetto con Michael Douglas, un remake di un film di Hitchcock – spiega Campagnani – un titolo che risuonerà su tutti i giornali e sarà anche oggetto di una grandissima scemenza scritta da alcuni giornalisti, ossia il seminario (mai confermato da nessun elemento) di Scattone e Ferraro. Il secondo elemento cinematografico fu Schindler’s List, tramesso qualche sera prima del delitto, in cui è presente la scena di uno sparo giù da una finestra, altro elemento di associazione con i film e la tv, che avevano da questo punto di vista un peso maggiore di oggi nelle sale da pranzo delle famiglie italiane. E poi l’hitckcockiano Nodo alla gola, che è esattamente il film che purtroppo immaginano alcuni giornalisti e magistrati. Il “bibliopatologo” Guido Vitello mi ha spiegato che la coppia criminale è un elemento narrativo teorizzato nella letteratura: perché funziona, perché ci fai bene un titolo, perché lo dicono in tv, perché magari hai visto anche il film di Hitckcock, e questa cosa improvvisamente ti suona benissimo e inizi a pensare che sicuramente è andata così.”

Cosa rimane davvero di questo caso oggi, allora? Oltre a domande attuali e testimonianze preziose che Undici Frammenti consegna, resta sicuramente il ricordo amarissimo e incancellabile di una giovane donna di 22 anni, figlia, sorella, amica, studentessa universitaria, campionessa di scherma e di generosità, il cui esempio ha contribuito in modo determinate al cambio di passo sul tema della donazione degli organi nel nostro Paese. Nel report 2020 del Centro Nazionale Trapianti del Ministero della Salute**, pur tenendo conto delle difficoltà legate alla pandemia da Covid-19, che ha causato un calo del 10% rispetto all’anno precedente, si parla di 3441 interventi, di cui 3146 realizzati grazie agli organi di donatori deceduti. Ed è una piccola consolazione pensare che forse siamo a questo punto anche grazie alla volontà di Marta e della sua coraggiosa famiglia.
*
http://www.martarusso.org/associazione.html

**
http://www.trapianti.salute.gov.it/trapianti/dettaglioComunicatiNotizieCnt.jsp?lingua=italiano&area=cnt&menu=media&sottomenu=news&id=636

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