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Futuro? – Avremmo potuto già esserci

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Oggi più che in passato, ci interroghiamo sul nostro domani. Ma prescindendo dalle preoccupazioni e dagli auspici attuali, avremmo potuto già essere nel futuro? Molto probabilmente Sì.

In questi ultimi decenni, diversi nostri governanti, con una lungimiranza che oggi appare sorprendente, hanno enunciato principi e promosso azioni proiettate verso un futuro di elevata competitività internazionale.

L’attuale Premier Mario Draghi, non più tardi di un anno fa, tracciò i tre “pilastri” a cui i giovani dovrebbero ispirarsi per costruire il proprio futuro: Conoscenza, Coraggio ed Umiltà. In senso economico, marcò la differenza tra il “debito buono”, finalizzato cioè agli investimenti, e quindi portatore di progresso e di profitti ed il “debito cattivo”, che in quanto destinato al consumo, non ne permette, invece, la restituzione.

Prima di lui un altro Premier, Silvio Berlusconi, affermò che il futuro ed il progresso socio-economico si sarebbe costruito sulle solide basi delle cosiddette tre “i”: Impresa, Informatica ed Inglese.

All’incirca nello stesso periodo, l’allora Ministro dello Sviluppo Economico, Pierluigi Bersani, intuì gli effetti benefici, che una “liberalizzazione” dei mercati economici avrebbe apportato alla libera concorrenza e, quindi, al miglioramento dell’efficienza tecnico-economica della produzione, scambio e vendita di beni e servizi.

Nello stesso periodo, l’allora Ministro per la Funzione Pubblica, Franco Bassanini, intuì l’importanza della semplificazione delle procedure amministrative e dei vincoli burocratici alle attività private, che ancora oggi rappresentano un forte ostacolo allo sviluppo economico dei territori ed agli investimenti privati.

Tra le esternazioni ed azioni rappresentate, si inserisce una Personalità quale quella di Papa Benedetto XVI, che con la sua Enciclica “Caritas in Veritate” (del 2009), richiamandosi alla mobilità lavorativa, ne rimarcava “i rischi di incertezza circa le condizioni di lavoro e le difficoltà a costruire propri percorsi…compreso anche quello verso il matrimonio”, da qui le preoccupazioni e le difficoltà che i giovani incontrano nel trovare una stabilità lavorativa che consenta di “mettere su casa”; come pure “l’estromissione dal lavoro per lungo tempo…mina la libertà e la creatività della persona e i suoi rapporti familiari e sociali con forti sofferenze sul piano psicologico”. Per non dire poi, dell’apprezzamento per quei “…molti manager che con analisi lungimirante si rendono sempre più conto dei profondi legami che la loro impresa ha con il territorio, o con i territori, in cui opera”.

Ma prima di tutti, le intuizioni di un altro Sommo Pontefice, San Paolo VI, che nel lontanissimo 1967 con l’Enciclica “Populorum Progressio”, sancì l’importanza dell’educazione e della formazione nel progresso dell’uomo “Si può affermare che la crescita economica è legata innanzitutto al progresso sociale ch’essa è in grado di suscitare, e che l’educazione di base è il primo obiettivo d’un piano di sviluppo…acquistare una formazione professionale, è riprendere fiducia in se stessi e scoprire che si può progredire insieme con gli altri”. Ed ancora, sottolineava l’importanza della Formazione culturale con il richiamo “alle istituzioni culturali, il cui ruolo non è di minor peso per la riuscita dello sviluppo”.

Ed allora, non possiamo che ritornare alla domanda iniziale, e concludere che se nel corso degli anni questi principi, enunciazioni ed avvertimenti avessero trovato concreta, o più concreta, attuazione, oggi, nel futuro, vi saremmo già.

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